Il concetto di riciclaggio ed evoluzione normativa.
Per essere semplici e diretti nel definire il concetto di riciclaggio possiamo comodamente affermare che trattasi dell’attività di ripulitura di beni o denaro di provenienza illecita convertito e trasferito nel circuito economico, con lo scopo e il fine di occultarne la fonte criminale.
La comunità internazionale, fin dagli anni ’70 ha diffuso l’esigenza di tutelare gli interessi economico sociali delle economie globali, individuando con la normativa antiriciclaggio, i presidi fondamentali per proteggere e garantire gli interessi transnazionali; quindi a fondamento di tale azione, il legislatore nazionale ha recepito la direttiva 2005/60/CE, con Il decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231 (che nel prosieguo chiameremo LA NORMA), che concerne la prevenzione dell’utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo nonché della direttiva 2006/70/CE, che ne recava misure di esecuzione.
Il legislatore a tutela dei citati interessi ha quindi promulgato la norma, che nel tempo ha strutturato una capillare e complessa prescrizione antiriciclaggio, obbligando con la previsione di sanzioni penali e amministrative (vgs. da art. 55 al 69 della norma), tutti gli intermediari finanziari e professionisti soggetti persone giuridiche e fisiche (ex art. 3 della norma) ad attuare gli adempimenti previsti dalla norma, che si concretizzano nella Adeguata Verifica (art. 17), nella Conservazione dei dati delle operazioni dei clienti (art. 31) e nelle attività connesse alle Segnalazioni di Operazioni Sospette (art. 35).
Il nostro Paese può anche vantare di essere stato il primo a varare una compiuta previsione penale antiriciclaggio: anticipando i tempi, infatti, già alla fine degli anni ’70 il nostro Legislatore ebbe ad inserire nel codice Rocco l’art. 648-bis e quindi ad individuare, nel confronto tra “offesa-contenuto” del reato ed “arricchimento” quale sua conseguenza, un binomio degno di studio e approfondimento; un binomio rivelatore di un nuovo “fatto da perseguire” penalmente.
Nel tempo venne chiaro come fosse fondamentale ampliare i contesti delinquenziali presupposto al reato, che anche se disomogenei, non erano allo stesso tempo così ampi per coprire l’intero raggio di azione della criminalità, in specie organizzata: l’esperienza, infatti, mostrava in modo fin troppo evidente la necessità di allargare l’ambito materiale della fattispecie anche ai processi “creativi” di illecita ricchezza, oltre che agli atti criminali “ablatori”, e ciò al fine di facilitare la prova di quel “coefficiente di consapevolezza-colpevolezza” richiesto per l’applicazione dell’art. 648-bis c.p.
Il nostro Legislatore infatti, profittando di contingenti emergenze storiche e dalla necessità di rispondere alle medesime in modo fermo e deciso, approfittò del grave allarme sociale che, all’epoca, destava la crescente incidenza della mafia in settori ed in attività economiche essenziali dello Stato per varare la l. n. 55 del 19 marzo 1990 (c.d. “Gava-Vassalli”, allora rispettivamente Ministro dell’Interno e Ministro di Grazia e Giustizia), foriera di importanti elementi di riforma dell’art. 648-bis c.p.
Prima di tutto al delitto fu conferito ufficialmente il nome di «riciclaggio» e venne allargato l’oggetto materiale del delitto, ora ricomprendente il più ampio concetto di “utilità”, in modo tale che non potesse essere escluso alcun provento di reato.
Fu esteso l’elenco dei reati base ai delitti concernenti la produzione e il traffico di sostanze stupefacenti o psicotrope, che quindi diede una natura propriamente internazionale alla norma penale; si assimilò così la normativa nazionale a quella del modello legislativo statunitense, che era l’antecedente storico a cui fare riferimento, spinti da una sempre più crescente convinzione delle caratteristiche intrinseche della “narco-criminalità”, per la sua nota e indiscussa capacità di generare ingenti quantitativi di denaro.
Ma gli scenari internazionali nel tempo furono la spinta propulsiva per le riforme dell’ art. 648-bis c.p.. con lo scardinamento della indicazione tassativa degli illeciti presupposto che ora è ricomprendente ogni ipotesi delittuosa anche quindi i reati economici e d’impresa.
Ad oggi le varie fattispecie incriminatrici del reato di riciclaggio nelle sue varie forma sono :
– art. 648-bis. (Riciclaggio). ………. chiunque sostituisce o trasferisce denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto ((…)), ovvero compie in relazione ad essi altre operazioni in modo da ostacolare l’identificazione della loro provenienza delittuosa”””””
– art. 648-ter. (Impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita)…….chiunque, fuori dei casi di concorso nel reato e dei casi previsti dagli articoli 648 e 648-bis, impiega in attività economiche o finanziarie denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto’’’’’
– Art. 648-ter.1 (Autoriciclaggio). ………..chiunque, avendo commesso o concorso a commettere un delitto ((…)), impiega, sostituisce, trasferisce, in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, il denaro, i beni o le altre utilità provenienti dalla commissione di tale delitto, in modo da ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa.
Rischio riciclaggio per i professionisti
Ulteriormente ne nasce anche un rischio riciclaggio anche per i professionisti, che possono trovarsi coinvolti in attività di riciclaggio, in virtù anche della definizione ex D.lgs. 231/07 che all’art. 2, comma 4, lettera d), che indica un concorso in riciclaggio, anche la semplice agevolazione nell’esecuzione di tale attività, e questo può verificarsi semplicemente qualora il soggetto obbligato non esegua la segnalazione di operazione sospetta, a fronte di elementi che determinino quantomeno il sospetto, che sia in corso o sia stata compiuta o tentata un’operazione di riciclaggio.
Gli obblighi previsti per i professionisti e in generale per tutte le persone fisiche e giuridiche indicate all’art. 3 della norma, assumono quindi una funzione di presidio antiriciclaggio utile quindi ad assumere anche un ruolo sociale in quanto gli viene imposto, pena sanzioni ammnistrative e penali, di individuare le fattispecie di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo di cui vengono a conoscenza nell’esercizio delle proprie funzioni.
Il principio internazionale di KYC e la nostrana Adeguata verifica connessa alla individuazione del Titolare effettivo amplia l’attività conoscitiva del cliente e della prestazione, che con il tramite delle indagini necessarie porta nel caso alla segnalazione di operazione sospetta; attività che dovrebbero essere svolte non tanto per evitare le sanzioni, ma per raggiungere le specifiche finalità insite nel decreto stesso.
Quello però che non consente alla normativa in esame di trovare un’ampia e adeguata applicazione è la mancanza di un’adeguata forma mentis alla disciplina; dalla esperienza operativa e di formazione si è notato, una mancanza di approccio e consapevolezza dei rischi connessi alla frequentazione e/o prestazione di servizi e consulenza a soggetti connessi a reati, che sono poi il presupposto al riciclaggio consapevole dei proventi. La consapevolezza che potrebbe essere ravvisata nella mancanza colposa, negligente con incauto approccio alla transazione o attività del proprio cliente.
Troppo spesso l’antiriciclaggio non viene percepito dai professionisti nella giusta maniera; l’approccio non è sicuramente da paragonare a quello investigativo, ma sicuramente deve avere dei connotati di approfondimento professionale ponendosi semplici interrogativi nei casi in cui la trasparenza della operatività del cliente non sia di ampia “Discovery”. Sicuramente la professionalità, la preparazione ed esperienza fanno la differenza nell’approccio alla attività di antiriciclaggio.
Sicuramente il giovane professionista inesperto e non adeguatamente preparato è più esposto alla problematica connessa ai rischi di riciclaggio.
In un anno come questo poi, interessato ancor più da una forte crisi economica a causa dell’emergenza epidemiologica causata da Covid-19 e dalla Crisi energetica, l’attenzione dovrebbe essere ancora maggiore.
Il rischio di infiltrazione criminale, infatti, diviene più elevato; tali soggetti, approfittando della carenza di liquidità di molte imprese, potrebbero entrare nel mercato legale costruendo nuove attività nel settore sanitario, nelle forniture di materiale di prima necessità e mediante l’acquisizione di imprese o partecipazioni al capitale di aziende in crisi.
Uno dei grandi conflitti che la norma ha delegato la soluzione, sia agli Ordini Professionali, che nel contempo ai soggetti obbligati, è far convivere il segreto professionale con l’obbligo di segnalare le operazioni sospette senza informare il cliente; tale cambiamento epocale dell’approccio è stato difficile, ma è chiaro come il rapporto con il cliente, in questo ambito, assume una valenza di minore tutela, surclassato da più impellenti esigenze di controllo e repressione della devianza criminale.
I reati tributari come strumento dell’industria del riciclaggio moderno.
È oramai ampiamente appurato assodato e consolidato, come l’evasione fiscale e la criminalità organizzata, siano i due gangli del nostro Paese e quindi i proventi di tali enormi bacini di illegalità vengono riciclati da una vera e propria industria del riciclaggio, che con l’ausilio di figure professionali ripuliscono e reinvestono nell’economia, inquinandola e rendendola non equa e competitiva.
Ma come opera l’industria del riciclaggio moderno, e quali sono gli strumenti a loro disposizione?
Nei tempi l’uso del contante è stato ed è attualmente il classico strumento sempre in voga, che con l’ausilio di professionisti dedicati definiti in gergo “spalloni” viene occultato e trasportato oltre il confine nazionale.
Ecco perché il primo approccio dell’antiriciclaggio è la lotta al contante. Nel tempo, infatti, sono state inserite soglie di utilizzo, che hanno creato solo delle problematiche nelle transazioni, ma di fatto non ne hanno impedito l’utilizzo esponenziale con volumi sempre in crescita.
Gli studi e Analisi nazionale dei rischi di riciclaggio e finanziamento del terrorismo elaborata dal Comitato di Sicurezza Finanziaria per l’anno 2018, stima che il 12% del PIL nazionale sia oggetto di riciclaggio, 86,4 miliardi di euro del sommerso derivano da evasione fiscale.
Ma come si spostano enormi massi finanziarie senza destare sospetto? E come si trasformano i proventi di reato “pericolosi” della criminalità organizzata in proventi da reato di evasione fiscale?
Nel nostro Paese la comunità non percepisce l’evasione fiscale come essere socialmente pericolosa alla stregua dei crimini comuni. Si parla infatti di Lotta all’Evasione, ma in effetti i risultati sono di una economia non osservata, che racchiude l’economia sommersa e quella criminale che sostanzialmente negli anni è rimasta su valori sempre uguali.
La risposta a tali interrogativi è tra le altre, nelle mimettizzazione nelle normali operatività delle Aziende, ancor meglio medio grandi, con rapporti transnazionali.
L’operatività e le transazioni delle società ed enti rendono molto facile “mimetizzare” i proventi illeciti.
Quindi diventa molto conveniente riciclare mascherando le operazioni con transazioni commerciali magari transazionali, e quindi valutarle nel farle ricadere in fattispecie penali tributarie di emissioni e contabilizzazione di fatture per operazioni inesistenti, nonché nelle altre fattispecie penalmente rilevanti di cui al D.lgs. n. 74/2000, grazie anche quindi al consolidato orientamento giurisprudenziale (la sentenza n. 6061 del 15 febbraio 2012 della Cassazione Penale, che indica i reati fiscali assunti a presupposto del reato di riciclaggio.
Certo è che diversi dubbi sono legati alla considerazione dei reati tributari come reati presupposto, in ordine alla assunzione della “prova giudiziaria”, a dimostrazione che proprio quel denaro proviene da delitto tributario o quando occorre provare l’elemento soggettivo di colui che ha riciclato; non è infatti sufficiente dimostrare l’accettazione del rischio, ma si deve dimostrare la consapevolezza del riciclatore rispetto alla provenienza delittuosa della res.
La domanda è se le fattispecie penalmente rilevanti riferite ai reati tributari e frodi fiscali creano utilità e beneficio ravvisabile anche nel risparmio di imposta; e se tale “vantaggio” ha una tangibilità all’interno del patrimonio dell’evasore fiscale, tale per cui lo si possa considerare “proveniente da” un delitto e quindi oggetto di riciclaggio.
Il reato fiscale è idoneo a fungere da presupposto per l’azionabilità delle ipotesi di cui agli artt. 648-bis ss producendo un profitto economicamente quantificabile in sede di constatazione, magari frutto di una attività ispettiva di verifica fiscale con conseguente accertamento delle imposte evase.
Quindi «tutti i delitti dolosi, colposi e contravvenzionali quindi, anche quello di frode fiscale, sono idonei a fungere da reato presupposto del riciclaggio» I reati tributari, di cui si vuole qui approfondire la tematica del loro riciclaggio hanno una previsione di dolo specifico di evasione e quindi essi mirano ad un risparmio fiscale, che è il profitto del reato nei reati tributari e frodi fiscali in quanto creano un “vantaggio” tangibile nel patrimonio dell’evasore fiscale che è idoneo, cioè, a far acquisire al reo quella res infungibile, che potrà essere poi oggetto di trasferimento e reimpiego
La giurisprudenza consolidata non richiede l’esatta individuazione e l’accertamento giudiziale del delitto presupposto. È sufficiente che lo stesso risulti alla stregua degli elementi di fatto acquisiti e interpretati secondo logica o almeno astrattamente configurabili (Cass sez. VI n. 495 del 2008).
La Suprema Corte a SS.UU ha chiarito che «il profitto è costituito da qualsivoglia vantaggio patrimoniale e può, dunque, consistere anche in un risparmio di spesa, come quello derivante dal mancato pagamento del tributo, interessi e sanzioni dovuti a seguito di accertamento del debito tributario».
La giurisprudenza quindi di riferimento risponde in modo positivo; il riciclare il provento oggetto di evasione e frode fiscale può configurare il reato di riciclaggio e/o autoriciclaggio; tale affermazione, però, impone di affrontare diverse altre questioni interpretative, connesse, ad esempio, al momento della commissione del reato presupposto o definibile anche presupponente, nonché alle conseguenze rispetto a quest’ultimo sugli “eventi” della sussistenza del reato di riciclaggio
Autoriciclaggio e delitti tributari:
Già nella direttiva europea (Direttiva UE 2015/849) all’art. 3, comma 4, lett. f), dava indicazioni agli stati europei di farsi carico di recepire nel proprio ordinamento giuridico, tra i reati suscettibili di fungere da presupposto del delitto di riciclaggio, “tutti i reati, compresi i reati fiscali relativi a imposte dirette e indirette, quali specificati nel diritto nazionale………
Tra le fattispecie penali dell’Antiriciclaggio, che completano il panorama, quello che più adatta alla previsione della lotta alle frodi fiscali e alla lotta all’evasione e al sommerso è sicuramente il delitto previsto e punito dall’art. 648 ter1 rubricato AUTORICICLAGGIO.
Sul piano nazionale la fattispecie penale antiriciclaggio è stata pensata con finalità sia di agevolare l’emersione e il rientro di capitali detenuti all’estero, nonché di potenziamento della lotta all’evasione fiscale; è stato inserito nel codice penale dall’art. 3 comma 3 della L. 15 dicembre 2014 n.186, per dare slancio alla normativa della Voluntary Disclosure (collaborazione volontaria) prevedendo la non punibilità dei reati tributari e riciclaggio per chi faceva emergere i capitali all’estero sino alla data del 30 settembre 2015 data questa del termine della agevolazione.
La L. 186 del 2014 all’art. 3 comma 5 ha altresì apportato all’art 25 octies d.lgs. 2001/231 (norma della responsabilità relativa agli Enti) le modifiche utile a prevedere le responsabilità degli Enti anche per i reati di autoriciclaggio e quindi anche di evasione fiscale.
Quindi viene sanzionato penalmente l’autore della frode e dell’evasione fiscale (imprenditore o amministratore) e la società o ente persona giuridica, poiché “societas deliquere non potest, sono state resa responsabili di una sanzione amministrativa ampliando il novero dei reati della normativa 231/01, che sanziona le società ampliandolo appunto la responsabilità amministrative degli Enti nei casi di reati fiscali e al riciclaggio dei proventi da evasione delle sue figure apicali.
L’interesse tutelato dalla norma sull’autoriciclaggio è quello di evitare le operazioni di impiego sostituzione e trasferimento di proventi illeciti da parte dell’autore del reato presupposto, che reimmette nel circuito economico – finanziario ovvero imprenditoriale, del denaro o dei beni di provenienza illecita, finalizzati ad ottenere un concreto effetto dissimulatorio, che costituisce quel “quid pluris” che differenzia la semplice condotta del godimento personale, non punibile, da quella del nascondimento del profitto illecito.
Ma per agevolmente contestare il reato di Autoriciclaggio dei proventi da delitto, infatti come si è detto, si necessità di individuare il reato presupposto ma “in assenza di qualsiasi elemento idoneo ad ipotizzare l’esistenza di un delitto presupposto dal quale abbia avuto origine la somma””” La Corte di cassazione, in recenti sentenze evidenzia, condivisibilmente, che il mero possesso, da parte di taluno, di un’ingente somma di denaro non è suscettibile di fondare il fumus del delitto di autoriciclaggio, non solo perché nulla prova in merito alla previa commissione di un delitto non colposo da parte del soggetto stesso, ma anche in quanto non assimilabile alla condotta tipica prevista dall’art. 648-ter.1 c.p. Il comportamento deve concretamente ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa dell’oggetto materiale.
Quindi il solo possesso di una ingente somma di denaro senza, che vi sia un fumus circa un delitto presupposto, il tutto unito a comportamenti, che concretamente non ostacolano l’identificazione della provenienza delittuosa, non integrano il reato di Autoriciclaggio.
1(sez.II 20/10364) che ha confermato l’esclusione dell’autoriciclaggio in un caso di vendita con sovraprezzo di biglietti di manifestazioni sportive ottenuti mediante estorsione.